Al primo confronto pubblico tra i candidati per la presidenza della Regione, organizzato da Confcommercio e in programma sabato a Cagliari, non è stata invitata. Lucia Chessa segretaria nazionale dei Rossomori, alza le spalle e si concentra sulla sua campagna elettorale alla guida di Sardigna R-esiste. Con l’ex sindaca di Austis si apre la serie di interviste ai 4 candidati.

Lucia Chessa, iniziamo bene…
«Confermo di non avere ricevuto alcun invito. Eppure i candidati alla carica di presidente sono quattro, sino a prova contraria. Sono abbastanza basita. Non ho idea di cosa stia succedendo. Vorrei capirlo, per pura curiosità».

Chi c’è dentro Sardigna R-esiste e dove vi collocate?

«Non si tratta di una lista dei Rossomori, anche se oltre me all’interno sono candidati molti iscritti e dirigenti e c’è una continuità con la collocazione politica di questi ultimi anni. Ma nelle liste c’è anche una parte consistente di candidati che è puramente civica. Il mandato con cui sono stata eletta dall’assemblea era volto a instaurare un dialogo tra il mondo dell’autodeterminazione e il mondo che si colloca a sinistra del Pd».

Nessun rapporto con il centrosinistra?
«No, perché siamo altro. Il motivo per il quale abbiamo deciso di presentarci da soli, ben consci delle difficoltà, ha a che vedere con l’emergenza democratica che c’è in Sardegna».

In che senso?

«La legge elettorale del 2013 è una carognata che il Consiglio ha fatto ai sardi, espropriati della possibilità di avere un Consiglio rappresentativo. Si è trattato di un’operazione trasversale, votata da centrodestra e centrosinistra, con la quale il Consiglio s’è “blindato” escludendo le minoranze. Si è scelto di ridurre la ricchezza di pensiero che attraversa la Sardegna, riducendola a questo scarno e povero bipolarismo. Uno dei 73 consiglieri che votarono quella legge è Renato Soru».

Nessun feeling con l’ex governatore?
«Non riconosciamo diversità ai due schieramenti, rappresentati da Soru e Todde, che occupano il campo del vecchio centro sinistra. Sono due facce della stessa medaglia, anche se provano a proporsi nei termini di un’assoluta terzietà rispetto al passato. Ma c’è un altro problema legato alla legge elettorale».

Quale?
«L’adesione tecnica, che come riconosciuto da sentenze di vari Tar e dal Consiglio di Stato è uno degli artifizi attraverso i quali il Consiglio regionale ha blindato se stesso. Le 4500 firme autenticate che vengono richieste per presentare le liste, possono essere bypassate dalla firma di un unico consigliere regionale, anche se poi si candida altrove. L’unica che ha raccolto per davvero le firme, Maria Rosaria Randaccio con Forza del Popolo (in realtà anche Progetto Sardegna, ndr), è stata esclusa: una cosa gravissima».

Voi avete raccolto le firme?
«No, non ce l’avremmo mai fatta: siamo lavoratori, io insegno in una scuola, non abbiamo indennità parlamentari, né la forza per mobilitare centinaia di persone. Ma anziché cercare sotto banco un consigliere, come fanno gli altri abbiamo fatto un appello pubblico inviando una mail a ogni singolo consigliere. Alla fine siamo dentro perché FdI ci ha risposto e la firma che attendevamo è arrivata tramite l’Udc, due delle forze politiche più distanti dalle mie posizioni».

Non per insistere con Soru, ma su alcune tematiche apparentemente siete abbastanza vicini. Come l’energia.
«Il problema di questa campagna elettorale è che sembrano nati tutti un minuto fa e questa cosa è offensiva per i sardi. Cito lui e dico che non conta quello che si dice ma quello che si fa. Ebbene, l’attuale assalto speculativo dei signori del sole e del vento è facilitato da una serie di provvedimenti normativi che hanno tolto potere decisionale alla Regione e ai Comuni. Indovinate chi ha fatto questi provvedimenti? Il governo Conte bis, il governo Draghi. Chi appoggiava quei governi? Le forze politiche che ora millantano ricette magiche. Ecco perché siamo in campo: non potevamo sopportare che se la cantassero e se la ballassero da soli».

Sulle rinnovabili cosa proponete?
«Non vogliamo che succeda come da altre parti, dove avere le materie prime si è trasformato in una maledizione. Tutto deve avvenire in maniera sostenibile, controllata, e governata da noi: dobbiamo poter decidere quanta energia ci serve, quanta esportarne e come esportare. Pensiamo che anche attività produttive sostenibili possano essere delocalizzate e installate in Sardegna, a certe condizioni. Le risorse e le ricchezze non devono per forza uscire dalla Sardegna».

Un tema che si intreccia con quello del lavoro. Che ricette avete?
«Nessuna ricetta ma un principio base: il lavoro è un diritto e non può mai essere un favore. Perciò invitiamo gli elettori sardi a voltare le spalle ai candidati che cercano di trasformarlo in un uno scambio. Con un’aggiunta: nessuno dovrebbe trovarsi nella condizione di dover scegliere tra lavoro e salute, tra lavoro e senso etico, ma questo avviene in molti ambiti e territori. Proviamo invece a riformare il sistema della formazione professionale, creiamo un ambiente favorevole agli investimenti»

Trasporti e sanità sono altri due temi caldi.
«Il principio di insularità sembrava una grande vittoria e qualcuno ancora cerca di vendersela come la trovata del secolo. Ironia della sorte, mai come ora è difficile e costoso viaggiare dalla Sardegna. Un’altra offesa per i sardi. Ci sono norme che vanno cambiate, dai livelli più alti, e la parte pubblica deve rispondere del diritto violato alla mobilità. Per non parlare della mobilità interna. Ogni sardo conosce le strade provinciali con il limite a 30, restrizioni da terzo mondo pensate non per garantire la sicurezza ma per coprire le spalle a qualche commissario delle Province. Tra parentesi, le Province non sono state abolite, ci sono sempre i commissari, frutto di spartizioni tra i gruppi, che continuano ad amministrare soldi senza alcun mandato popolare».

La sanità?
«Fare l’elenco dei punti del disastro è troppo facile. Dico che le due riforme fatte nelle ultime legislature non hanno migliorato l’accessibilità alle cure dei sardi, anzi. Il privato si è ritagliato una serie di attività molto remunerative, in assenza di una minima concorrenza da parte del pubblico. Bisogna rivedere il percorso di formazione dei medici, assumere, stabilizzare, fare un uso migliore dei neo-laureati ed efficientare la rete ospedaliera, senza chiudere i piccoli ospedali».

Lei è un’insegnante. Come vede la scuola di domani?
«Ho anche l’esperienza da sindaca di Austis, quando mi sono battuta per evitarne la chiusura. Togliere le scuole dalle comunità ha conseguenze drammatiche. Sono per una scuola in ogni comune. La scuola all’interno delle comunità è un luogo di rivitalizzazione culturale. Penso a una scuola aperta tutto il giorno e arricchita da figure professionali diverse rispetto ai soli insegnanti. Alcune attività, musica, canto, sport, lingue, non devono essere solo appannaggio di chi se le può pagare. L’offerta culturale deve essere a disposizione di tutti e solo la scuola può renderla disponibile. Ma non è accettabile che la Sardegna non organizzi i corsi di specializzazione per insegnanti. Rispetto alle altre regioni siamo molto indietro».

Qui l’articolo sul sito de La Nuova Sardegna

Categorie: Interviste

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