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Di legge elettorale regionale sarda

La legge elettorale sarda non è democratica e, attraverso diversi artifici normativi, produce consigli regionali che non rispecchiano la volontà espressa dai sardi attraverso il voto.

Con l’entrata in vigore di questa legge, nel 2013, si è messo a punto un sistema che vedrà a lungo avvicendarsi al governo della regione i due principali schieramenti, impedendo che altre istanze, pur fortemente presenti nella società sarda, trovino rappresentanza in Consiglio Regionale.

Si è costruito, sostanzialmente, un falso bipolarismo che, pur non esistendo nella legittima complessità che arricchisce il pensiero politico dei sardi, si materializza artificiosamente nel momento in cui si compone il Consiglio regionale il quale, al contrario, per conservare l’autorevolezza e la centralità che si addice alle assemblee legislative, per produrre leggi che guardino al bene comune, per esercitare le sue funzioni nell’interesse di questa terra, dovrebbe davvero rappresentare tutti.

Le quote di sbarramento al 5% per le liste singole e al 10% per le coalizioni lasciano privi di rappresentanza decine di migliaia di cittadini, scoraggiano l’esercizio del diritto di voto per coloro che non si riconoscono negli schieramenti più forti e incrementano l’astensionismo in una regione in cui già non va più a votare quasi la metà degli aventi diritto.

Agli effetti distorsivi della volontà popolare, dovuti alle quote di sbarramento, si sommano quelli causati dal premio di maggioranza. La legge elettorale sarda attribuisce al presidente eletto il 60% dei seggi se raggiunge il 40% dei voti e il 55% dei seggi se raggiunge il 25% dei voti.

Occorre riflettere su questi numeri e cogliere lo squilibrio profondo che si determina tra il risultato elettorale e la composizione del Consiglio regionale il quale finisce per fotografare una Sardegna che non c’è e consegnare il governo regionale a maggioranze finte ed artefatte.

A questo si aggiunge la possibilità del voto disgiunto che consente allo stesso elettore di votare, liste e presidente di schieramenti contrapposti. Tale alchimia, che non trova giustificazione né logica né politica, combinata al fatto che il premio di maggioranza viene attribuito al presidente, determina la possibilità, che si è già concretamente realizzata nel 2014 (Pigliaru/Cappellacci), di consigli regionali a maggioranza di centrosinistra, nonostante le liste di centrodestra avessero raccolto più voti.

Rimane inoltre irrisolta la questione della rappresentanza femminile in consiglio regionale. L’introduzione della doppia preferenza di genere ad opera della maggioranza a guida Pigliaru ha dimostrato nei risultati l’assoluta inefficacia rispetto all’obiettivo di portare la rappresentanza femminile a livelli minimi di civiltà.

Per tutto ciò noi riteniamo, in Sardegna, di trovarci di fronte ad una vera e propria emergenza democratica sulla quale è necessario intervenire con urgenza e con un’azione generalizzata che veda coinvolti tutti coloro che sono portatori di sani valori di cittadinanza e di democrazia. Pensiamo sia necessario finalmente superare tutti gli artifici normativi, quali quote di sbarramento e premi di maggioranza, che producono distorsione della volontà espressa dagli elettori. Pensiamo sia necessario restituire centralità alle assemblee elettive, ridimensionando esecutivi sempre più forti e trasbordanti che tendono ad occupare impropriamente spazi di potere legislativo attraverso operazioni pericolose che risultano tanto più facili quanto più i parlamenti sono resi scarsamente rappresentativi.

Per far ciò è necessario avere il coraggio di dire che non è più derogabile una riforma della legge elettorale sarda in senso proporzionale senza quote di sbarramento se non quelle naturali derivate dal numero dei consiglieri regionali, senza premi di maggioranza, con assegnazione di seggi in proporzione ai voti ricevuti, con l’introduzione di meccanismi di stabilizzazione già presenti in altri sistemi elettorali che non distorcano la volontà popolare (quali la sfiducia costruttiva), con l’adozione di norme che garantiscano la parità di genere in consiglio regionale.

Di onestà e di legalità

Già da molto tempo l’Italia risulta tra i paesi più corrotti dell’Unione Europea e la Sardegna non si discosta certo dal dato generale.

Il fenomeno è ignorato, anzi non è minimamente presente nel dibattito politico e così, non solo non si adottano efficaci interventi di contrasto, ma viceversa si producono norme che sembrano agevolarne la diffusione e il radicamento.

In realtà, noi crediamo che l’Illegalità impatti pesantemente nell’insieme della nostra vita, individuale e collettiva, producendo un danno a tutto campo anche quando, uno sguardo superficiale, non rileva la connessione diretta tra inefficienze, disagio, sottrazione di diritti, violazione di principi costituzionali da una parte e corruzione ed illegalità dall’altra.

Impatto economico

Studi piuttosto circostanziati dimostrano che una economia frenata dal mancato rispetto delle regole non solo non garantisce diritti ma non decolla, non produce opportunità e non crea ricchezza. Essa deprime la capacità di sviluppo di un territorio, dunque impatta negativamente sulle opportunità delle singole persone di accedere alla sicurezza economica per sé e per le proprie famiglie, ad un lavoro dignitoso, alla possibilità di realizzare la propria idea imprenditoriale e in definitiva di mettere a disposizione della collettività il proprio talento

Tutti gli studi dimostrano che la perdita di ricchezza dovuta a pratiche di illegalità è molto elevata, ammonta a percentuali importanti del PIL ed evidenzia che le risorse così sprecate potrebbero contribuire in modo significativo a risolvere alcune delle maggiori emergenze sociali (sanità, istruzione, disoccupazione).

Impatto sul piano sociale

Creando delle corsie preferenziali per alcuni a discapito di altri, la pratica della corruzione e della illegalità crea disuguaglianze. Mette su piani diversi la possibilità delle persone di accedere con pari opportunità al lavoro, al successo della propria impresa, ai diritti, ai servizi, al benessere.

Le corsie preferenziali, i percorsi privilegiati annullano la meritocrazia generando sprechi, inefficienze e malfunzionamenti. Ma soprattutto producono lo sgretolamento di quel senso di appartenenza ad una collettività che è il fondamento di ogni convivenza civile tesa al bene comune.

Il risultato è che si mette in serissimo rischio quella coesione sociale che tiene in piedi le società e le organizzazioni democratiche, rispettose delle diversità, delle individualità e della dignità di ognuno

Impatto sul piano della agibilità democratica

L’illegalità e la corruzione hanno anche una pesante portata antidemocratica. In un contesto di illegalità il voto viene espresso non in base alla adesione ad un programma o a dei valori politici che si ritengono condivisibili, ma in base alla promessa di vantaggi personali o di favori attesi.

La pratica delle campagne elettorali che legano persone, famiglie, porzioni di comunità ad un protettore politico dal quale ci si attendono vantaggi, inquina irrimediabilmente il voto, riduce pesantemente l’espressione della volontà popolare e con ciò mina le basi stesse dei sistemi democratici.

Particolarmente disgregante è la pratica del voto di scambio, soprattutto quando la promessa riguarda diritti fondamentali come il lavoro.

Noi pensiamo che, in una società democratica, rispettosa dei principi costituzionali, non dovrebbe essere mai consentito di trasformare un diritto in un favore.

Quali risposte di contrasto?

Noi crediamo che la complessità del fenomeno richieda risposte complesse, alcune delle quali, come per esempio la risposta giudiziaria, non siano in senso stretto alla portata delle politiche regionali. La risposta che a noi compete è culturale in senso lato e, nello specifico, politica.

Noi ci impegniamo alla adozione di pratiche trasparenti come è doveroso nella pubblica amministrazione. Ci impegniamo a perseguire l’interesse comune e non quello particolare o privato e a selezionare anche i nostri candidati e collaboratori sulla base di rigorosissimi criteri. Ci impegniamo a non candidare né attribuire incarichi a persone condannate o rinviate a giudizio per reati contro la pubblica amministrazione.

Di sanità

Troppo facile elencare i tanti disastri del nostro Servizio Sanitario. Solo per citarne alcuni: Pronto Soccorso al collasso con attesa media di circa 10 ore, Servizi Territoriali quasi scomparsi, Medici di Base non disponibili per un numero crescente di cittadini, liste d’attesa con tempi inaccettabilmente dilatati anche per gli esami routinari, Guardie Mediche accorpate e a rischio di chiusura, strangolamento dei piccoli ospedali sardi e indebolimento dei grandi ospedali cittadini.

Un disastro drammatico, sperimentato quotidianamente da ogni cittadino.

Non c’è dubbio che i problemi, in parte, derivino anche da cause extraregionali: la scelta politica risalente agli anni ’90 di aziendalizzare le Unità Sanitarie Locali, i drastici tagli pluridecennali ai finanziamenti del Servizio Sanitario Nazionale per favorirne la privatizzazione, il numero chiuso nelle facoltà di medicina, l’applicazione su vasta scala di dottrine economiche neo-liberiste che hanno posto al centro il profitto privato e marginalizzato la salute in quanto diritto umano universale.

Esistono però anche enormi responsabilità della politica regionale che è rimasta ferma al Piano Sanitario Regionale 2006-2008 ed in particolare le due ultime Giunte: Pigliaru e Solinas, che hanno applicato alla lettera disposizioni nazionali senza tenere conto di peculiarità regionali come la distribuzione della popolazione, la difficile viabilità e la stessa insularità, ma soprattutto esse hanno stravolto l’organizzazione del sistema sanitario regionale prima istituendo inopportunamente l’ATS (Azienda per la Tutela della Salute) come unica azienda regionale in sostituzione delle otto Aziende Sanitarie Locali preesistenti poi, quando sembrava si stesse raggiungendo un difficile assestamento, sopprimendo l’ATS per ricostituire le 8 ASL (un po’ meno autonome) insieme all’ARES (Azienda Regionale Sarda) una specie di ATS depotenziata.

Il tutto guidato da uno scandaloso spoil system senza vergogna.

In questo penoso carosello di aziende che compaiono e scompaiano è il diritto alla salute che ha pagato il prezzo più alto in particolare in certi settori, quelli più radicati nei servizi territoriali, come il mondo della salute mentale.

La nascita e la diffusa attività dei comitati spontanei di cittadini che, in tutti i territori, si battono per vedere riconosciuto il diritto di tutti alla salute e che sono stati sistematicamente ignorati e ingannati dalla politica regionale di ogni schieramento, dimostra tutto il fallimento delle politiche sanitarie regionali almeno degli ultimi 15 anni.

La gestione della crisi pandemica ha impietosamente messo a nudo le falle enormi del sistema sanitario della Sardegna. Curarsi è diventato impossibile con tempi di prenotazione inaccettabili, a volte blocco delle prenotazioni, spesso l’impossibilità di trovare strutture a cui affidarsi e dunque viaggi della speranza fuori regione.

In questo quadro, il privato si è ritagliato una serie di attività molto remunerative, in assenza di concorrenza da parte del pubblico, al quale sono lasciate le attività più dispendiose (le reperibilità, la gestione dei pronto soccorso, la dotazione di strumentazioni particolarmente costose) e tra l’altro con un sistema di acquisto delle prestazioni convenzionate ad un costo calcolato in maniera assolutamente impropria.

Ma non basta. Sono del tutto inesistenti efficaci politiche di prevenzione, di sorveglianza sull’inquinamento ambientale di origine industriale o legato alle servitù militari ed alle attività condotte nei poligoni.

In completo tracollo l’assistenza sanitaria nelle carceri così come la sicurezza nei luoghi di lavoro. Basta dire che in Sardegna ancora non funziona il registro regionale dei tumori.

Qui la priorità è ristabilire l’esercizio del diritto alla salute.

Noi crediamo sia necessario ripartire da una radicale riforma del sistema di formazione dei medici e dell’accesso alla facoltà di medicina e alle scuole di specializzazione per arrivare ad una più equa e razionale utilizzazione e retribuzione dei medici specializzandi che talvolta lavorano nei servizi in condizioni di vero e proprio sfruttamento.

Noi crediamo urgentissimo un piano di assunzioni e stabilizzazioni del personale medico sanitario con organici stabili nelle strutture ospedaliere e nei territori. Giovani neo laureati lasciano la Sardegna per effettuare percorsi di specializzazione non presenti nelle nostre università e giovani specializzati partono all’estero a cercare condizioni di lavoro più giuste e sicure.

Noi pensiamo sia urgentissimo un piano di formazione, assunzione e stabilizzazione dei medici di medicina generale, con la trasformazione degli stessi in dipendenti pubblici e una organizzazione del lavoro che li sollevi da un carico burocratico che giocoforza li sottrae alla cura dei pazienti.

Noi vogliamo la salvaguardia e l’efficientamento di tutta la rete ospedaliera compresi i piccoli ospedali opportunamente riorganizzati e utilizzati.

Vogliamo la ricostituzione e la messa in sicurezza dei punti nascita che vanno difesi dai parametri nazionali attraverso i quali il diritto alla qualità si trasforma in negazione del diritto

Noi crediamo sia urgente una semplificazione gestionale per liberare risorse umane sanitarie da incombenze di carattere burocratico e amministrativo.

Noi vogliamo il potenziamento della diagnostica nei poliambulatori pubblici affinché siano concorrenti al privato. (Oggi strumenti anche sofisticati, di ultima generazione, vengono utilizzati per un numero minimo di ore e ad un ritmo inaccettabile rispetto alla domanda).

Noi vogliamo il potenziamento dei servizi di prevenzione.

Noi crediamo urgente il potenziamento della assistenza domiciliare delle persone fragili, supportando economicamente e assistendo sul piano sociale le famiglie che si fanno carico degli anziani e dei disabili e delle persone con fragilità. Questo creerebbe occupazione e salvaguarderebbe il diritto degli anziani a non essere sradicati dal loro ambiente sociale e familiare nel fine vita. Ciò non è negoziabile, è civiltà.

Noi vogliamo anche che ci sia una maggiore attenzione alla medicina non convenzionale e siamo favorevoli al riconoscimento, nel Sistema Sanitario della Regione Sardegna, della Naturopatia Scientifica Alternativa, sia della medicina umana che veterinaria, sul modello di quanto è avvenuto in altre regioni già da 15 anni come, ad esempio, nel Sistema Sanitario della Regione Toscana,

Noi vogliamo ridimensionare drasticamente l’esternalizzazione di servizi che ha aperto la strada ad operazioni davvero niente affatto trasparenti. (servizi mensa, pulizie, servizi di prenotazione, servizi nei parcheggi, servizi nelle portinerie degli ospedali)

Noi vogliamo un serio Piano di salute animale ricordando che il benessere degli animali influisce oltre che sulla salute delle persone e dell’ambiente anche sull’economia. E’ necessario potenziare le attività di prevenzione anche con un maggiore controllo dei porti e aeroporti sugli animali in entrata.

Noi crediamo che i principi ispiratori di politiche sanitarie inclusive e democratiche si trovino nella legge N.833/1978, istitutiva del servizio sanitario pubblico, e nell’articolo 32 della Costituzione quanto mai attuale: << La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività>>.

Di Scuola

La scuola statale italiana ha accumulato un debito storico con la Sardegna, è stata strumento di un espianto di cultura, lingua, identità che ne ha cancellato la storia, sminuito i sentimenti di appartenenza e relegato in secondo piano ogni manifestazione di identità culturale e linguistica.

Quell’espianto è ancora in corso.

Oggi più che mai la scuola in Sardegna è in fortissima crisi: impoverita dai tagli continui, passati e presenti, dal mai risolto precariato storico dei docenti, appesantita dalla burocrazia a carico degli insegnanti a discapito della natura stessa della sua missione e incapace di svolgere una funzione vitale.

Considerata la situazione, riteniamo sia necessaria per la Sardegna una legge organica sulla scuola che disciplini l’intero percorso di educazione dalla scuola materna all’educazione permanente per gli adulti, una scuola pubblica, gratuita, inclusiva, democratica, diffusa, connessa e calibrata sulle specificità della nostra regione.

Tale legge, unitamente ai diritti garantiti dall’art 2 e 3 della Costituzione, dovrebbe utilizzare gli spazi di autonomia previsti dall’art. 5 dello Statuto Sardo tenendo presente che le norme sulla autonomia differenziata, che non condividiamo, conferiscono alle regioni a statuto ordinario la possibilità di una scuola regionale in senso ampio, e che non occupare tempestivamente il medesimo spazio, sarebbe una mortificazione inaudita delle prerogative che la Costituzione riconosce alle regioni a statuto speciale come la Sardegna. Sarà quindi necessario uno sforzo di visione e di elaborazione ben lontano dalle sole politiche di “taglio” richieste a livello statale e recepite a livello regionale che hanno caratterizzato in Sardegna le politiche scolastiche degli ultimi decenni

Noi crediamo che, a tutti debba essere garantito di frequentare la scuola nel Comune in cui vive, anche se piccolo, ma non solo perché non è civile diventare pendolare all’età di 6 anni, come è avvenuto in troppi piccoli comuni della Sardegna, ma perché riconosciamo alla scuola, se bene organizzata e se capace di svolgere la sua funzione in modo vitale, un ruolo insostituibile in tutte le comunità e massimamente in quelle piccole spesso prive di diffuse proposte culturali alternative.

La chiusura delle piccole scuole sta impoverendo ulteriormente grandi porzioni di territorio sardo e sta potentemente incentivando lo spopolamento con il drammatico portato di conseguenze a tutto campo che esso genera.

Noi pensiamo a scuole aperte tutto il giorno, come avviene in altri paesi europei, con organici arricchiti di figure professionali oltre gli insegnanti, (psicologi, pedagogisti, educatori, operatori sociali, maestri d’arte, esperti in discipline sportive, maestri di musica, canto e ballo sardo) punti di riferimento di una proposta culturale e sociale variegata e diffusa nei piccoli come nei grandi centri urbani. Aver pensato che gli investimenti in educazione potessero essere impunemente ridotti ha prodotto danni incalcolabili e a questo errore epocale pensiamo si possa rimediare a livello regionale.

La Sardegna vuole una scuola di qualità, finalizzata alla formazione di cittadini democratici, solidali, consapevoli dei loro diritti, portatori di uno sguardo ampio e aperto, ma inseriti nel contesto culturale della propria comunità nazionale, cittadini preparati, capaci di interpretare la realtà e le sue dinamiche, di determinare il proprio futuro e quello della collettività.

Per ciò noi crediamo necessario finalmente introdurre nei programmi scolastici la storia, la lingua, la letteratura della Sardegna, come avviene in altri paesi europei più sensibili alla conservazione delle lingue e delle culture minoritarie a rischio di estinzione.

Noi crediamo in una scuola che valorizzi la pace, rifiuti le armi e la militarizzazione del territorio e, ancor prima della formazione delle competenze specifiche per l’inserimento nel mondo del lavoro, educhi alla conoscenza del valore della propria terra e delle sue risorse, affinché le stesse non vengano usurpate, depredate, svendute in cambio di un momentaneo benessere che, invece, è solo un preludio di un impoverimento generalizzato.

Una scuola con insegnanti stabili, razionalizzando l’accesso all’insegnamento oggi in balia di algoritmi che attivano meccanismi privi di senso logico, profondamente ingiusti e non rispettosi della dignità dei giovani docenti.

Una scuola dove si presti dovuta attenzione al personale amministrativo, tecnico e ausiliario sempre più esiguo, ridotto e massimamente penalizzato dai nuovi recenti e irresponsabili accorpamenti.

Una scuola dove sia rivolta una reale attenzione all’inclusione dei ragazzi speciali a partire dalla tempestiva attivazione di corsi di specializzazione per insegnanti di sostegno scolastico i cui organici sono periodicamente e massicciamente coperti da insegnanti provenienti da altre regioni i quali, sono senz’altro benvenuti, ma i posti scoperti non possono essere conseguenza di una colpevole inerzia nella organizzazione dei corsi di specializzazione in Sardegna.

Riteniamo sia interamente da ripensare e ricostruire tutto il sistema della formazione professionale attualmente incapace di incrociare le aspirazioni e i progetti di vita e lavoro dei giovani sardi che necessitano di acquisizione di competenze spendibili, con le richieste di un mercato del lavoro in affanno che lascia spazio a fenomeni drammatici di sfruttamento, precarietà e disoccupazione.

Sarà necessario promuovere interventi che consentano agli studenti di acquisire le competenze necessarie per trovare un lavoro qualificato attraverso percorsi allineati alle esigenze del mercato del lavoro e in stretta collaborazione con le imprese. Occorrerà promuovere la formazione continua attraverso lo sviluppo di corsi di formazione professionale per adulti, diffusione della cultura digitale, sviluppo di politiche di orientamento scolastico e professionale.

Con l’obiettivo, l’aspirazione, il dovere di non lasciare indietro nessuno.

Di trasporti

Mai come oggi è stato difficile e costoso entrare e uscire dalla Sardegna. Il riconoscimento del principio di insularità e il suo inserimento in Costituzione, su cui si sono attardati in tanti, ha mostrato tutta la sua inefficacia.

La continuità territoriale è oggi solo una espressione verbale, un modo di dire lontanissimo dalla realtà.

I sardi viaggiano verso l’esterno in condizioni umilianti, costosi, intollerabili ed indegni.

Regioni anche vicine, con esigenze simili a quelle della Sardegna hanno agevolato le necessità dei cittadini, e lo spostamento delle merci, mentre la nostra terra sembra regredire ostaggio delle compagnie aeree e di navigazione.

Noi crediamo che trasporti verso l’esterno dell’Isola debbano essere sotto il controllo pubblico perché la mobilità è un diritto. Crediamo che dei costi, della possibilità, della qualità, della certezza dei viaggi debbano rispondere lo Stato e la Regione in un ruolo predominante nella tutela del diritto dei sardi, e non solo, ad entrare e uscire dalla Sardegna.

Noi crediamo che i diritti delle imprese a realizzare profitti, la libera applicazione delle leggi del mercato, “l’applicazione” del principio della libera concorrenza trovino un limite nei diritti irrinunciabili dei cittadini tra i quali c’è quello alla mobilità e crediamo che sia compito della Regione Sardegna far valere questo principio.

Ugualmente insostenibile appare la situazione dei trasporti interni. Viaggiare tra i lavori in corso della SS 131 è, a tratti, pericoloso e non meno problematica è la condizione delle altre arterie viarie. Molti tratti delle provinciali indicano 30 km orari come limite di velocità con lo scopo evidente di coprire da rischi le amministrazioni responsabili della sicurezza stradale più che gli automobilisti.

Riguardo al trasporto su ferro, la Sardegna ricopre l’ultima posizione in ambito nazionale per la rete infrastrutturale ferroviaria a scartamento ordinario e a scartamento ridotto, in gran parte a binario unico e non elettrificata. E soprattutto dispone di un parco treni tra i più datati d’Italia.

Eppure la nostra regione è tra le più vaste d’Italia e necessita di un sistema di trasporti interno efficiente ed integrato che connetta i porti, gli aeroporti, i poli urbani più importanti, le coste e le zone interne. Un sistema integrato all’interno dell’isola che renda ai sardi e a chi transita in Sardegna la possibilità di esercitare una mobilità moderna, sostenibile e green che scoraggi dall’uso dell’auto privata.

Per ciò crediamo sia molto urgente un grande piano di manutenzione delle rete stradale della Sardegna. Crediamo sia necessario investire su nuove linee ferroviarie che connettano le aree interne alle coste, tutti i capoluoghi di provincia, i porti e gli aeroporti. Per far ciò è necessaria la realizzazione di una nuova linea veloce che connetta tutte le coste passando per il centro dell’isola. L’esistente va migliorato e deve prendersi in considerazione la connessione Olbia Cagliari passando per la costa est e senza escludere Nuoro unico capoluogo di provincia d’Italia non servito da Trenitalia.

Un buon funzionamento del servizio pubblico, pur senza penalizzare le piccole attività di trasporto privato, crediamo possa contribuire a migliorare la mobilità interna e a decongestionare il traffico nei centri urbani principali.

A questo fine sono necessari centri intermodali e parcheggi di scambio, serviti da trasporti pubblici urbani agevolati.

 

Di Agricoltura e di Allevamento

L’agricoltura riveste un carattere di primaria importanza che riguarda non soltanto la popolazione sarda, ma la popolazione mondiale ed è cruciale, perché riguarda l’alimentazione umana e animale, la sua qualità, la sua disponibilità.

Per ciò, come si può capire, ha ripercussioni dirette sulla salute e la sostenibilità ambientale, la vita.

Nessun progetto politico, oggi a maggior ragione, può esimersi dall’affrontare la complessità di questo settore che, tra l’altro, contribuisce anche ad una quota non trascurabile di emissioni di anidride carbonica e di metano in atmosfera, determinando un impatto significativo sul fronte della sostenibilità ambientale e dei cambiamenti climatici.

Occorre pertanto ragionare su un modello di agricoltura che bilanci l’esigenza di produzioni alimentari per una popolazione in continua crescita, con la necessità di salvaguardare il pianeta, il suolo, gli ecosistemi.

Anche in Sardegna esistono diversi tipi di produzioni agricole;

Il modello intensivo, forzando i ritmi naturali, tende ad ottenere il massimo risultato con la minima spesa. Questa tipo di agricoltura, succube della grande distribuzione organizzata, raccoglie la maggior parte dei guadagni, si rivolge ad un mercato e ad un consumatore preciso. Vive in un contesto di concorrenza estrema che incentiva la meccanizzazione e l’uso spinto della chimica, perdendo il 50% se non oltre del prodotto lungo il percorso che va dal campo alla tavola del consumatore.

Questa tipologia è quella che sopravvive perché sostenuta dalla PAC (Politica Agricola Comune della UE), nella quale i premi comunitari risultano essere la voce di entrata più consistente, ma la cui produttività, in termini di vantaggio collettivo andrebbe verificata e comunque non è da proporsi come modello esclusivo.

Iniziano anche a farsi strada interessanti modelli su piccola scala, spesso a conduzione diretta e familiare, che hanno comunque dimostrato una grande validità per quanto riguarda la qualità delle produzioni, la resa/reddito, l’interesse del mercato e dei consumatori. Si tratta di aziende che operano su piccola scala, che usano metodi di tutela e salvaguardia ambientale, che limitano i trattamenti fitosanitari, con disciplinari di produzione e con la programmazione delle varietà colturali per periodo temporale, per altimetria e tipo di territorio.

Piccole aziende che in qualche caso hanno avuto la capacità di consorziarsi e che, con piccole produzioni locali, vincono premi per la produzione di qualità di miele, olio, formaggio, vino ecc.

Oggi, i giovani imprenditori agricoli, non aspettano più un modello produttivo intensivo calato dall’alto e dall’esterno, come negli anni sessanta.

L’agricoltura di piccola scala ha dimostrato, in alcune aree della Sardegna, di essere sostenibile sul piano economico, ambientale ed etico, di rappresentare una tappa importante verso la sovranità alimentare e la produzione a km zero, nonché una notevole prospettiva di crescita in termini occupazionali, considerata l’esiguità dell’investimento iniziale richiesto.

Questo modello deve essere accompagnato e sostenuto da politiche regionali adeguate e da modifiche significative delle politiche agricole europee, rispetto alle quali la Sardegna dovrebbe trattare direttamente con l’Unione Europea.

L’attenzione a questo modello, da parte della regione Sardegna, renderebbe possibile ripensare la produttività di un enorme patrimonio agrario abbandonato o, quanto meno, sotto utilizzato. Privato e pubblico, comprese le grandi estensioni in capo agli enti per l’agricoltura, i terreni comunali, i terreni incolti in capo a università o ex scuole agrarie, quali Sorigheddu e Mamuntana.

Noi crediamo siamo necessarie ed urgenti opportune azioni di programmazione e pianificazione riguardanti un efficace frazionamento dei terreni fertili in stato di abbandono e il loro affidamento anche a cooperative di giovani agricoltori, ovviamente a seguito di procedure pubbliche di affidamento.

Crediamo sia necessaria la creazione di un’adeguata rete infrastrutturale mediante sistemi razionali di irrigazione dei terreni, una rete stradale che consenta il facile raccordo tra i campi ed i centri di raccolta e prima lavorazione dei prodotti agricoli; nonché la creazione di piccoli caseifici e centri di lavorazione carni e salumi, tutto naturalmente dimensionato alle reali esigenze e da mettere in rete.

Una pianificazione di questo tipo produrrebbe opportunità concrete e diffuse, e ci avvicinerebbe all’obiettivo della nostra sovranità alimentare.

Crediamo inoltre sia necessaria un’adeguata attenzione alle importanti risorse naturali fitoterapiche della Sardegna utilizzate dall’industria farmaceutica nel settore dei medicinali naturali.

La valorizzazione di questa risorsa, oggi molto marginalizzata, passa anche attraverso l’informazione e l’inserimento nella formazione regionale di corsi di naturopatia scientifica certificati dalla FENOOP (federazione nazionale operatori olistici professionisti) come già avviene in altre regioni.

Crediamo sia necessaria, per tutte le produzioni, nell’agricoltura e allevamento, come nell’artigianato, la creazione di un marchio Sardegna che certifichi la provenienza e la qualità dei prodotti.

E’ indispensabile avviare con urgenza un confronto con le autorità europee per garantire una maggiore libertà per gli operatori economici, una minore burocrazia e una migliore e più celere erogazione di premi ed eventuali incentivi.

Di fondamentale importanza inoltre tutto il comparto dell’allevamento che caratterizza, in molte zone della Sardegna non solo l’economia ma anche la cultura ed il paesaggio.

Gli allevatori operano in un settore crucciale che è quello della produzione di cibo e sostengono l’economia di estese zone della Sardegna. Le incertezze e le difficoltà del settore sono molteplici e non a caso si sono espresse, anche di recente, in proteste eclatanti, non prive di scandalosi strascichi giudiziari.

Essi forniscono un prodotto che viene immesso in un mercato indistinto dove l’altissima qualità, dovuta sia alle caratteristiche del pascolo che alle tecniche di allevamento, non è riconosciuta né remunerata.

Saranno sicuramente necessarie politiche di “promozione della qualità Sardegna” fondata anche su una nuova attenzione alla cultura rurale e agropastorale.

Pensiamo sia inoltre urgente garantire agli operatori del comparto un funzionamento efficiente degli enti strumentali in capo all’assessorato all’agricoltura. Attualmente procedure farraginose, ritardi, forse utilizzo non razionale del personale, creano difficoltà enormi e aggiuntive agli operatori del settore. Noi crediamo che sia necessario rimediare.

Noi crediamo inoltre non rinviabile studiare piani innovativi per garantire anche nei prossimi anni l’accesso delle aziende all’acqua. Tutelando in bene prezioso purtroppo forse destinato ad essere ancora meno disponibile nei prossimi anni, finanziando invasi e punti di raccolta anche e di piccole dimensioni, realizzando nuove condotte per destinate all’irrigazione.

Sarà necessario migliorare le reti della viabilità rurale, l’elettrificazione delle campagne e la disponibilità di reti telematiche la cui accessibilità sarà sempre più indispensabile per l’attività di aziende moderne e competitive.

E più di ogni altra cosa sarà necessario proteggere allevatori e agricoltori dal rischio di espropri forzati effettuati con le procedure già previste dagli interventi di cosiddetta pubblica utilità come i parchi eolici o la dorsale del gas di cui alcuni continuano paradossalmente a parlare.

Di Ambiente, Energia e Governo del territorio

Questa terra è la mia terra.

Il nostro territorio è insieme ambiente, natura, storia, identità e cultura delle comunità che ci abitano.

Non è uno spazio vuoto da mettere sotto una campana di vetro: secoli di storia, di sofferenze, di vita comunitaria lo hanno reso quel che è oggi, con tutte le contraddizioni e i limiti prodotti dal susseguirsi di fasi di sfruttamento e abbandono.

Le miniere, i “poli di sviluppo industriale”, gli investimenti “esterni” non hanno mai prodotto reale e duraturo sviluppo perché partorite esclusivamente da visioni di tipo colonialista.

Oggi la necessità improrogabile di realizzare la transizione energetica rischia di diventare l’ennesima occasione di sfruttamento coloniale delle nostre risorse.

Crediamo che vento, sole, suolo, acqua siano risorse essenziali che devono essere affidate e gestite al livello delle comunità locali, con un’equa distribuzione della ricchezza.

La transizione energetica deve essere realizzata nel rispetto del territorio escludendo l’aggressione a paesaggi e popolazioni, senza interventi irreversibili e inutili di consumo del suolo ma utilizzando le strutture immobiliari esistenti, pubbliche e private, al fine di favorire la creazione delle Comunità Energetiche.

Il giusto principio di solidarietà energetica verso altre regioni non può diventare l’ennesima scusa per depredare la nostra isola. Il doveroso contributo della nostra terra alla produzione di energia pulita e rinnovabile deve essere anche casomai accompagnato dalla richiesta di delocalizzazione in Sardegna di nuove attività produttive energivore, ma solo a patto che siano sostenibili.

Così si costruisce la ricaduta, in termini di ricchezza e lavoro, del vantaggio di possedere quelle che per noi sono le “nostre materie” prime. Sole e vento.

E’ indispensabile elaborare piani energetici rispettando i parametri europei, condivisi a livello globale, che prevedono obiettivi chiari: la riduzione drastica delle emissioni di inquinanti nell’atmosfera. E’ essenziale procedere velocemente alla la riduzione drastica di tutti i processi di combustione per la produzione energetica, ivi compresi quelli del gas metano. La dorsale del metano, qualora venisse realizzata, sarà l’ennesima superflua cicatrice sulla nostra isola; l’intrico di gigantesche pale eoliche lungo le nostre valli e le nostre colline snaturerà i nostri paesaggi, ignorandone prerogative e peculiarità. Questi sono interventi che gioveranno ad altri soggetti, non certamente ai sardi.

Crediamo pertanto che la transizione energetica debba essere compiuta in Sardegna riducendo i consumi. Realizzando, con il coinvolgimento del sistema finanziario regionale, l’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare esistente, rendendo le famiglie e le imprese sarde produttori e consumatori energetici e implementando impianti rinnovabili concepiti nel rispetto dei luoghi e dei contesti socio-economici e culturali delle popolazioni che li vivono.

Sarà Fondamentale concepire il P.E.A.R.S. (Piano Energetico Ambientale Regione Sardegna ) ed attuarlo in accordo con le comunità locali istituendo una Società Energetica Sarda che produca e gestisca l’energia Elettrica Prodotta in Sardegna .

Crediamo piuttosto nella bonifica dei terreni inquinati, nel risanamento dei territori degradati anche conservando la memoria storica e il patrimonio tecnologico legato alle attività produttive del passato come per esempio le miniere.

Crediamo nel recupero delle aree militarizzate perché, ripudiamo la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti e pertanto ripudiamo la presenza di oltre il 60% delle servitù militari dell’intera Italia.

Noi rifiutiamo che il nostro territorio sia il luogo dove si esercitano specialisti di guerra di ogni paese e dove si sperimentano armi letali anche con effetti disastrosi sulla salute dell’ambiente e delle persone.

Noi non vogliamo la nostra terra in nessun modo coinvolta nelle guerre che attualmente insanguinano il pianeta.

Crediamo nella nostra agricoltura di pregio, nel rilancio di filiere corte per i prodotti agroalimentari e nel recupero di antiche tradizioni rilette con i moderni criteri tecno-scientifici.

Crediamo che le nostre foreste debbano costituire, sia a livello territoriale che culturale, un tessuto connettivo luogo di bellezza e di contemplazione e contemporaneamente di produzione di beni e ricchezza. Vorremmo che siano inserite nella gestione organica del territorio nella sua interezza, con la pianificazione puntuale di interventi di protezione da incendi, processi erosivi e dissesto idrogeologico. Protezione attuata regolarmente, non con le logiche miopi della sola reazione all’emergenza cui abbiamo assistito in questi decenni.

Noi vogliamo una “prevenzione civile” prima che una “protezione civile” e in tal senso, sarà fondamentale anche educare, con precoci azioni educative, cittadini sardi.

E crediamo nella capacità culturale dei nostri agricoltori e pastori di attivare una collaborazione fattiva con gli enti regionali per la messa in sicurezza dei territori e per costruire un ambiente rinnovato e funzionale ai bisogni comunitari locali nel loro complesso, capace anche di reagire prontamente agli effetti dei cambiamenti climatici in atto.

Crediamo che la nostra isola valga una pianificazione integrata dei suoi territori, di tutti i suoi territori, non solo di quelli costieri, rispettosa delle comunità che li vivono, libera dai gioghi di strumenti ministeriali e burocratici calati dall’alto, dove nei processi di co-pianificazione che il quadro normativo italiano oggi impone, la Sardegna assuma finalmente il ruolo preminente, sancito costituzionalmente dallo Statuto Speciale, attraverso tutti gli enti istituzionalmente preposti al governo del territorio, a cominciare dal Corpo Forestale, da Forestas, dagli enti in agricoltura.

E crediamo nel nostro futuro: che i nostri giovani possano rendersi protagonisti nella ricerca di modalità di sviluppo per la nostra isola, con un sistema universitario e di studio inserito in quelle reti internazionali di rapporti e scambi che agevolano il progresso e l’innovazione.

Di Industria e attività produttive

L’insediamento dell’industria in Sardegna ha avuto un impatto pesante, generando danni incalcolabili e in alcuni casi irreversibili sull’ambiente e la salute delle persone.

Ciò nonostante essa rappresenta un settore che ha la sua irrinunciabile importanza e di cui l’economia della Sardegna non potrà fare a meno.

Ciò che bisogna radicalmente modificare è l’approccio generale uscendo finalmente dal ricatto che innaturalmente contrappone lavoro con salute, sicurezza, sostenibilità, etica.

Occorre uscire dal modello dell’industria inquinante che effettua in Sardegna le prime lavorazioni a maggiore impatto e rinviando ad altri territori le seconde e terze lavorazioni più sostenibili.

Noi crediamo sia necessario creare le condizioni favorevoli per attrarre investimenti e per la crescita di imprese che producano occupazione di qualità ma crediamo che la sostenibilità economica, sociale ed ambientale siano i criteri di valutazione delle proposte progettuali dei diversi attori economici locali ed internazionali.

L’industria va sostenuta investendo nella ricerca, nell’istruzione, nella formazione, nella qualificazione professionale garantendo equilibrio e dignità alle imprese e ai lavoratori e creando le condizioni affinché la ricchezza prodotta in Sardegna resti nel nostro territorio esigendo ad esempio che l’energia rinnovabile prodotta in Sardegna venga, più che esportata, prioritariamente utilizzata in impianti produttivi localizzati in Sardegna.

Sarà necessario favorire industrie connesse alle vocazioni produttive del territorio quali l’agroalimentare, e la cantieristica navale.

Senza trascurare l’assoluta insostenibilità etica di industrie belliche per la produzione di strumenti di morte e mutilazione di uomini, donne e bambini.

Il lavoro è un diritto. Non può essere condizionato all’accettazione dell’inaccettabile. I luoghi di produzione di morte devono essere con urgenza riconvertiti in luoghi di lavoro dignitoso, finalizzato al benessere di tutti e all’interno di una visione eticamente sostenibile.

Sarà dunque necessario sviluppare politiche attive del lavoro con interventi di formazione e aggiornamento professionale, tutela dei lavoratori precari e stagionali, monitoraggio della attività e potenziamento dei centri per l’impiego e sostegno del lavoro giovanile e femminile.

Attraverso interventi di natura finanziaria e formativa deve essere favorita la partecipazione delle imprese sarde alle gare pubbliche.

Revisione dei rapporti con lo stato

Lo statuto speciale, pur con tutti i suoli limiti già evidenziati al momento della sua approvazione dagli stessi sardi che si erano battuti per l’autonomia della Sardegna, oggi rappresenta un patrimonio politico del popolo sardo da difendere e allo stesso tempo ripensare.

La specialità è sotto attacco da molti anni, come dimostra la riforma sulla autonomia differenziata oggi in discussione che finisce per conferire maggiori spazi di autonomia alle regioni a statuto ordinario di quanti non ne siano riconosciuti alle regioni a statuto speciale.

Il tutto in un contesto di finto orgoglio nazionale della classe politica che si alterna al governo della Sardegna da alcuni decenni e insieme di reale e passivo asservimento al centralismo italiano.

Prima ancora, o meglio, contestualmente, ad azioni politiche specifiche sarà necessario rilanciare in Sardegna il dibattito sull’Autodeterminazione e sullo Statuto Autonomo diffondendo informazioni e consapevolezza sullo stato attuale e le possibilità, promuovendo eventi e iniziative di sensibilizzazione.

Sarà inoltre necessario reinterpretare e dare concretezza a tutti gli spazi di autonomia già riconosciuti e mai effettivamente trasformati in autogoverno della Sardegna e, nel contempo, rinegoziare con lo stato ulteriori spazi di autonomia proprio facendo leva sulle nuove disposizioni, a favore delle regioni a statuto ordinario.

Per ciò, mentre sarà necessario sviluppare fin da subito, nel governo della regione Sardegna, strategie di “autonomismo di fatto”, sarà anche indispensabile avviare un dialogo costruttivo e paritario con le istituzioni nazionali e internazionali per una nuova regolamentazione dei rapporti tra le parti in un’ottica di non subalternità, di sussidiarietà, di autodeterminazione e di reciproco riconoscimento.

Indispensabile sarà non limitare lo sguardo e la riflessione ai rapporti stato-regione. Gli stati nazionali sono in crisi. La subalternità del governo italiano alle dinamiche europee ne è la prova inconfutabile. Quindi la riflessione, l’elaborazione e l’azione politica dovranno spingersi oltre, sul piano europeo per garantire alla Sardegna, almeno su questioni strategiche, un dialogo diretto con le istituzioni europee.

Una conclusione generale

Abbiamo parlato di Sardegna. Ne abbiamo parlato cercando di tenere il focus su ciò che è di competenza della regione. Ma riteniamo che nessun progetto e nessun programma politico oggi possa esistere se non guarda al dramma immane che si consuma vicino a noi. Alle guerre che insanguinano l’Europa e il Medio Oriente e che minacciano di allargarsi e di assumere proporzioni imprevedibili.

Ci riguarda ciò che avviene su questo pianeta, ci riguarda ciò che avviene nel “nostro giardino” come spazio fisico e spazio umano.

L’Italia non è esente da responsabilità, e tutti coloro che ubbidienti hanno votato per l’invio di armi in teatri di guerre, e quelli che lo fanno ancora, non solo hanno scelto il proseguimento della carneficina, ma si sono assunti una responsabilità storica di avvicinamento alla catastrofe. Avvicinamento che prende forma nei fatti del Mar Rosso che vedono coinvolte le navi da guerra italiane.

Ciò ci riguarda come cittadini di Sardegna perché qui hanno sistemato i due terzi delle servitù militari italiane e niente come questo nostro essere piattaforma di guerra esprime e rappresenta in nostro essere, per l’ennesima volta, colonia.

Così come la stessa condizione di colonia umiliata è espressa da tutti i protocolli d’intesa sottoscritti negli ultimi anni dalla Regione e dal Ministero della Difesa e finalizzati a regolare la difficile convivenza tra i poligoni e le popolazioni che vivono in quelle aree. Protocolli umilianti nei contenuti e per giunta tutti regolarmente e assolutamente disattesi.

Qui si esercitano i militari di mezzo mondo. Sottraendo spazi, risorse, salute, salubrità dell’ambiente, opportunità. Sottraendo sovranità.

Noi, “ripudiamo la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali”, noi siamo sulle posizioni di Gino Strada quando dice “fuori la guerra dalla storia”, noi troviamo inaccettabile che l’attività più lucrosa in questo momento sia uccidere persone.

Noi troviamo inaccettabile che non ci siano risorse per sanità, istruzione, cura delle persone fragili, per la ricerca, ma si trovino fiumi di soldi per svuotare e riempire gli arsenali inseguendo la militarizzazione in atto in Europa e nel mondo, fenomeno sinistro che ha preceduto tutte le grandi guerre.

E’ ormai da un secolo che la maggior parte delle vittime delle guerre, nell’ordine del 95% siano civili e non militari. In dispregio di ogni convenzione, di ogni diritto internazionale, di ogni tentativo inutile di “regolare la guerra” perché questo non si può fare.

Noi abbiamo una proposta. Provocatoria. Perché purtroppo la provocazione sembra essere lo strumento residuo delle minoranze pacifiste verso le arroganze guerrafondaie.

Noi vorremmo sia stabilita una regola. Vorremmo che coloro che decidono la guerra, dal caldo dei loro uffici e dei loro confortevoli divani, dai loro scranni governativi e parlamentari, compresi coloro che votano, puliti puliti, per inviare armi invece che soccorsi, siano i primi a partire. Ad essere collocati sotto le bombe, disarmati e inermi come i bambini di Gaza, ad essere esposti al fuoco come i malati e i medici degli ospedali nei teatri di guerra, a patire la fame ed addossarsi, nella ressa, per un pezzo di pane lanciato da un camion di aiuti umanitari.

Voti e parti. Paradossale vero? Si!

Però non più paradossale della morte, della sofferenza immane, delle mutilazioni di quegli uomini, di quelle donne, di quei bambini di cui fanno scempio le nostre armi, quelle che produciamo qui, che partono da qui, che stocchiamo qui, quelle la cui efficacia sperimentiamo qui.

“La guerra la decidono i ricchi che mandano a morire i figli dei poveri”. Gino Strada

Sardigna Resiste

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