La Nuova Sardegna– 13 febbraio 2024

«Serve più autonomia». Le prove Invalsi non sono un parametro adeguato a misurare la preparazione dei ragazzi

Sassari Nel loro programma elettorale l’istruzione è uno degli argomenti segnati in rosso, non solo perché la candidata alla presidenza della Regione di Sardegna R-esiste, Lucia Chessa, è una professoressa di Lettere e Filosofia. Istruzione significa futuro, anche in una regione che deve combattere una profonda crisi anche tra i banchi di scuola. «Noi di Sardegna R-esiste siamo la lista più appropriata per affrontare i temi dell’istruzione – spiega Maria Francesca Colombo, imprenditrice cagliaritana 52enne – perché la nostra candidata presidente ha vissuto in prima persona cosa significa vedere la chiusura di una scuola».

«Le norme conferiscono grande autonomia alla Regione nella gestione del settore scolastico. La nostra intenzione è costruire una riforma completa dell’istruzione, che parta degli asili nido e abbracci tutto l’orizzonte formativo. Ci batteremo affinché anche nei piccoli centri non venga chiusa alcuna scuola. La nostra sarà una riforma organica che eviterà i tagli e allo stesso tempo favorisca la stabilizzazione dei precari e degli insegnanti di sostegno».

Lo spopolamento potrebbe continuare ad infliggere duri colpi al mondo della scuola.

I dati nazionali, e le prove invalsi, dicono che gli studenti sardi sono in ritardo nello studio di materie fondamentali come l’italiano, la matematica e l’inglese. Cosa ne pensa?

«A nostro parere le prove invalsi non sono un parametro adeguato a misurare la preparazione dei ragazzi. Non si possono valutare le capacità con risposte a crocetta»

E l’abbandono scolastico?

«Sempre lo stesso discorso: le norme nazionali non sono adeguate alle caratteristiche della nostra isola. La scuola sarda deve essere ripensata, deve rispondere alle esigenze del territorio».

Anche gli studenti universitari, però, spesso preferiscono completare gli studi altrove.

«Perché manca la sinergia tra le attività didattiche e la realtà lavorativa. Un accordo tra le università e i datori di lavoro può permettere che gli studenti inizino a rapportarsi anche al mondo del lavoro. Sarebbero interessanti le borse di studio che associno la conoscenza al lavoro». ( c.z.)

L’intervista su La Nuova Sardegna

 

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